Le sirene: racconto breve

Le sirene

Quando il venerdì sera non ho niente da fare sono solito passarlo in un bar con qualche amico. Un venerdì sera in particolare non avevo programmi e nemmeno amici con cui uscire, dato che mi trovavo fuori città per lavoro. Quindi uscii dall’hotel nel quale alloggiavo e m’incamminai nelle strade buie e sconosciute di quella cittadina alla ricerca di un locale.

Camminavo da un po’ quando delle insegne lampeggianti attirarono la mia attenzione. Le insegne indicavano un locale a luci rosse. E come avevano attirato il mio sguardo, attirarono anche il mio corpo. E così, spinto da noia e curiosità, entrai.

Il locale era squallido, la musica era squallida, gli uomini che c’erano erano squallidi, le donne che danzavano sopra il palco erano stupende. D’altronde, potevano permettersi di risparmiare sull’arredamento avendo quelle ballerine.

Mi feci strada tra uomini euforici e spogliarelliste che tentavano di adescarli. Presi posto su un divanetto. Tra i ttani, mi accorsi di un uomo in particolare. A differenza degli altri, che schiamazzavano e si agitavano come ad un incontro di boxe, quest’uomo se ne stava seduto composto su una sedia, e fissava le ballerine con uno sguardo intenso e meravigliato, ma teneva le mani dietro la schiena, come per prendere le distanze. Un autocontrollo fuori dal comune, almeno in quel locale.

Distolsi lo sguardo e mi concentrai sullo spettacolo. Erano donne straordinarie, giovani e sensuali. Mi dispiaceva che dovessero fare un lavoro del genere per vivere, eppure ne ero allo stesso tempo contento.

La musica batteva il tempo e quelle donne ti ipnotizzavano tenendolo a colpi di natiche. Alcune di loro scendevano dal palco e si aggiravano per il locale in cerca di qualche preda da spennare. Non fallivano mai.

Una di loro si avvicinò a quell’individuo seduto composto sulla sedia. Con l’indice gli fece segno di seguirla, ma l’uomo rimase imperturbato e sempre con le mani dietro la schiena, come se non gli interessasse. Eppure i suoi occhi sembravano dire il contrario, i suoi occhi erano fervidi, desiderosi, i suoi occhi non mentivano. La donna, notando quella posa disinteressata, se ne andò indignata. E gli occhi dell'uomo si fecero tristi.

Poi arrivò il mio turno. La bellezza in carne e ossa si presentò danzando davanti ai miei occhi rapiti e mi chiese di seguirla. Ammetto che per un attimo quella piccolissima briciola di ragione che mi era rimasta mi consigliò di rifiutare, anche perché mi trovavo in quella località per lavoro, non per piacere. Inoltre non era da me frequentare certi luoghi. Ma ammetto anche di aver completamente ignorato la ragione: in un locale del genere, con delle donne del genere, la coscienza degli uomini viene soffocata dal risveglio degli istinti primitivi. Avreste dovuto vedere quella ragazza, era deliziosa, eterea, avrebbe potuto fare l'attrice, e in un certo senso, già stava recitando. Ma me ne sarei reso conto solo dopo.

Vedendomi un po' titubante, si avvicinò lentamente e mi sussurrò all'orecchio parole dolci, bisbigliò che avrei conosciuto cose che non avrei mai provato, cose nuove che solo lei poteva darmi. Mi sentivo sciogliere dentro e non mi feci pregare più a lungo. Accettai di seguirla.

Mi accompagnò al bancone del bar dove ordinammo da bere. Troppo distratto dalle sue parole, dalle sue curve, non mi accorsi della sostanza che versò nel mio bicchiere, e così lo bevvi. Dopodiché mi portò nel retro del locale. C'era una piccola abitazione con diverse camere da letto. Entrammo in una di quelle e da quel momento persi totalmente conoscenza.

Mi destai qualche ora dopo (almeno credo). Ero da solo, al buio, in quella camera nella quale ero entrato. La testa mi girava. Barcollai cercando l'uscita e cercando un interruttore della luce. Non trovandolo, decisi di usare la luce del mio cellulare ma non trovai neppure quello. Mi tastai dappertutto per cercarlo e mi accorsi, con il cuore che batteva in gola, che non solo il mio telefono mancava. Erano spariti anche il cerca-persone, l'agenda e soprattutto il portafogli contenente tutti i miei documenti e le mie banconote. In quel momento il senso della ragione tornò, accompagnato dalla terribile sensazione di essere stato fregato. Non avevo lasciato niente all'hotel, tutto quello che possedevo, e che mi sarebbe servito per tornare a casa, lo avevo con me. Non più ormai. Fregato.

A tentoni trovai la porta per uscire, e tornai all'interno del locale, che nel frattempo si era svuotato. Mi chiesi se tutti gli uomini che c'erano erano andati incontro alla stessa truffa che avevo subito io. Probabilmente sì. Che altro motivo avrebbero quelle donne per abbordare uomini del genere. E pensando a questo, mi resi conto di essere come loro. Ma forse loro non si rendevano nemmeno conto di essere stati drogati e imbrogliati e forse il giorno dopo sarebbero pure tornati. Finché il rosso della loro passione non gli avrebbe lasciati al verde. Eravamo tutti le loro prede, tutti, tranne quell'uomo che era riuscito a rifiutare il fallace invito.
Sorpreso, lo notai seduto sulla stessa sedia e nella stessa posizione, da solo, mezzo assopito all'interno del locale ormai vuoto. Intanto andai a parlare con un barista per riferire quello che mi era successo. Mi rispose seccamente che quello che accadeva nel retro non era un loro problema.

Innervosito più che mai mi diressi verso l'uscita quando l'uomo seduto sulla sedia mi chiamò chiedendomi di avvicinarmi.
«Avrei bisogno di un favore,» disse.
«Di cosa hai bisogno?» chiesi.
«Ho le mani legate a questa sedia».
Sgranai gli occhi e mi accertai se quello che diceva fosse vero. Lo era. Un cordone teneva ben stretti i suoi polsi a un'asse dello schienale della sedia. « Chi è stato?» domandai.
«Sono stato io,» rispose. «Ho chiesto a un uomo di farlo, ma poi se n'è andato via con una di quelle ragazze.»
«E perché hai voluto farlo?» Ero stupito.
«Perché sono un uomo, e in effetti sposato. Ma ho sentito che in questo locale ci sono delle ragazze straordinarie, e non ho saputo resistere dal venire a vederle. E non avrei saputo resistere nemmeno al loro richiamo, quindi mi sono fatto legare a questa sedia.»

Gli slegai, con non poca difficoltà, la corda dai polsi pensando a quanto fosse stato fortunato quell'uomo. Eravamo stati tutti giocati, lui no. Salvato dall'amore per sua moglie, salvato dal fatto che a fine serata sarebbe tornato a casa da qualcuno che realmente voleva stare con lui. E io, io sarei tornato a casa più povero di prima. E non ero nemmeno così sicuro di riuscire a tornare a casa, dato che ero privo di documenti e di soldi.

Mentre stavo uscendo dall'insidioso locale, l'uomo mi raggiunse e mi chiese, un po' imbarazzato: «Ehi, com'è stato stare con quelle donne?» I suoi occhi brillavano di curiosità. E io mi sentii stupido e inferiore a quella persona la cui arguzia e amore avevano risparmiato la sorte che a me era spettata per aver ceduto alla tentazione, per aver perso il lume della ragione.
«Non sai cosa ti sei perso.» Risposi.

- Alberto Pisano

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