Quattro fermate: un breve racconto dell'orrore


I. Timore

Salì sul treno un secondo prima che le porte si chiudessero alle sue spalle. Riprese fiato nell'intermezzo che divideva le carrozze e si sistemò la borsa sulla spalla, dopodiché aprì lo sportello e avanzò per il primo vagone.

Arrivò fino in fondo alla carrozza senza trovare alcun posto libero. Tutti i sedili erano già occupati da individui che, se ne accorse solo alla fine, erano tutti uomini. Lasciò il primo vagone e aprì lo sportello per quello successivo.

Di nuovo non trovò alcun posto per sedersi. Tutti i sedili erano occupati da uomini piuttosto silenziosi: nessuno interagiva, stavano seduti composti, con i palmi delle mani appoggiati sulle gambe, con gli sguardi fissi puntati sul passeggero di fronte.

Terminò anche quella carrozza. Nell'intermezzo sbirciò il  vagone successivo prima di entrarci: anche quello era pieno di uomini immobili e silenziosi. Strinse la borsa al petto e proseguì. I passeggeri erano statue che, oltretutto, si assomigliavano molto.

Distratta dalla stranezza dei passeggeri, non badò alla borsa e colpì uno dei passeggeri sulla spalla. Chiese immediatamente scusa e l'eco della sua voce percorse il vagone risuonando come una campana di notte. L'uomo la fissò senza dire nulla.

Era arrivata alla fine della carrozza quando notò, riflesso sul vetro dello sportello, che l'uomo alle sue spalle si era alzato dal sedile ed era fermo al centro del corridoio: guardava verso di lei.

Lasciò il vagone e passò subito in quello successivo, ma poi si fermò, accorgendosi che anche in quella carrozza c'era un uomo in piedi, al centro dell'esiguo spazio tra i sedili, rivolto verso di lei. Lei proseguì ugualmente.

II. Ansia.

Capì che l'uomo non aveva intenzione di liberare il passaggio. Aveva uno sguardo assorto, ma fisso, fisso su di lei. Quando gli arrivò vicino, quando stava per chiedergli se poteva passare, il treno azionò i freni.

Le porte si aprirono, e l'uomo che bloccava il passaggio se ne andò. Lei lo seguì e lo vide scendere in una stazione deserta. Nessuno salì, e oltre a quell'uomo, nessuno scese.

Si sporse per cercare il cartello con il nome del luogo, ma era ricoperto da graffiti e non riuscì a leggerlo. Per un attimo fu come se volesse scendere, ma di colpo le porte si chiusero davanti ai suoi occhi.

Guardò all'interno del vagone da cui era uscita in cerca del posto che si era appena liberato, ma fu distratta da un uomo che avanzava spedito lungo il corridoio verso di lei: era lo stesso individuo che aveva accidentalmente colpito con la borsa.

Si affrettò a proseguire nella carrozza successiva. Era completamente vuota. Tutti i sedili erano liberi, eppure lei non si fermò su nessuno di essi, ma avanzò in fretta e uscì dall'altra parte senza neppure voltarsi indietro.

Finì nella carrozza-caffetteria, oltre il banco c'era un ragazzo che le sorrise. Lei si avvicinò e ordinò un bicchiere d'acqua. Il barista le sorrise di nuovo. Alle sue spalle dei passi la sorpassarono e si allontanarono entrando nel vagone seguente.

Solo allora si girò. Quando si rivolse al barista, lo trovò ancora sorridente. Sembrava non si fosse mai mosso, ma ora sul ì banco c'era un bicchiere d'acqua. Lo bevve d'un sorso, guardando fuori dal finestrino la luce sanguigna del tramonto.

Torno nel vagone che aveva percorso in fretta e senza fermarsi. Non era più vuoto come lo aveva trovato prima: una schiera di uomini immobili e composti occupava tutti i posti disponibili.

Ripercorse la carrozza-caffetteria e aprì lo sportello dell'altro lato. Il vagone era vuoto. Prese posto e guardò oltre il finestrino la luce del sole oscurarsi sul paesaggio fulmineo, per un attimo chiuse gli occhi, e in quell'attimo si addormentò.

III. Panico.
Quando riaprì gli occhi, si accorse che qualcosa era cambiato. L'illuminazione era artificiale. I neon sul soffitto erano accesi, mentre fuori dal finestrino tutto era spento e sul vetro si rifletteva il suo pallido viso.

Cercò in tutti i modi di aguzzare la vista nelle tenebre, ma le era impossibile capire dove si trovasse. Si sollevò dal sedile. Il vagone sembrava ancora vuoto. Lo percorse fino in fondo e si accorse di una donna asiatica che dormiva distesa su due sedili.

Si sporse su di lei per chiamarla, quando sentì il treno fermarsi. Le porte si aprirono e lei corse all'uscita e balzò fuori. La stazione in cui si trovava le era sconosciuta. La notte nascondeva qualsiasi indicazione del luogo.

Non riuscì a decidere se fosse meglio rimanere lì, o tornare sul treno e scendere alla prossima fermata. Era indecisa, vagava a destra e sinistra di fronte le porte, prima di accorgersi che non aveva con sé la sua borsa.

Risalì subito e all'istante le porte si chiusero alle sue spalle. Non trovò la sua borsa da nessuna parte. Inoltre si accorse che la donna asiatica si era spostata. Dormiva ancora, ma due sedili più avanti e nella fila opposta.

Avanzò di vagone in vagone, sbirciando ovunque in cerca della sua borsa. Le carrozze erano vuote. La desolazione assoluta e le tenebre in movimento fuori dal finestrino. Quando varcò la porta dell'ennesimo vagone, capì che il treno era finito.


IV. Terrore.
Colpì con forza la cabina di comando, gridò senza inibizioni contro lo sportello del capotreno. Di colpo la porta si spalancò. Un bambino seduto sullo sgabello si volse e le sorrise con denti bianchi e affilati, più numerosi di qualsiasi altro essere umano.


Lei lo fissò e poi, assorta, si mise a terra come un feto. Il piccolo capotreno, col suo ghigno abnorme, azionò i freni. Dopo un lungo digrigno il treno si fermò. Le porte si aprirono. Nessuno scese. Tuttavia, prima o poi, qualcun altro sarebbe salito.

-Alberto Pisano

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