INVITO ALLA LETTURA:
L'IDIOTA di FËDOR DOSTOEVSKIJ
Indice:
- - La struttura narrativa e altre informazioni
- - L'idiota, analisi del personaggio
1. La struttura narrativa e altre informazioni
Anno di pubblicazione: 1869
Lingua originale: Russo
Ambientazione: Russia, XIX secolo
Pagine: 600 ca. (chiaramente il dato varia in base all'edizione scelta.)
La struttura narrativa dell'Idiota si presenta inizialmente come quella classica dei romanzi ottocenteschi. In terza persona, e con un narratore eclissato, nell'ombra. Tuttavia ben presto inizia a rivelarsi l'originalità della narrazione. A partire dal secondo capitolo la voce del narratore pian piano emerge sempre di più e risulta chiaro che non è la classica voce narrante onnisciente propria dei romanzi occidentali tradizionali. La voce è quella di un osservatore attento, analitico, ma limitato. Talvolta ammette di non conoscere alcune informazioni o di essere incerto su alcuni fatti.
È senza dubbio un narratore particolare, quello di Dostoevskij. In alcuni momenti arriva pure a concedersi qualche digressione metaletteraria (piuttosto inusuale per l'epoca) sul tema della verosimiglianza dei personaggi nei romanzi.
A volte, parlando direttamente al lettore lo invita a focalizzarsi su qualche personaggio incontrato precedentemente. È come se s'imponesse sulla trama, fermando tutto, congelando l'intreccio, e lo dice chiaramente: «Forse non nuoceremo troppo all'evidenza della nostra storia se ci fermiamo e ricorriamo all'aiuto di alcuni chiarimenti [...].» Dopodiché preleva un personaggio dalla vicenda e lo pone sotto una lente d'ingrandimento; a quel punto, l'autore fa la sua magia.
Dostoevskij è famoso per l'abilità nell'indagare la psicologia dell'animo umano; in ogni libro di letteratura viene ribadito, non serve certo ripeterlo. Piuttosto, posso mostrarvelo.
Il paragrafo che segue si trova nell'ultima parte del romanzo e riguarda un personaggio secondario che compare fin dalle prime pagine. Questo per dire come l'autore ha scelto di disporre in modo "disarmonico" i suoi approfondimenti.
Capita che dopo aver conosciuto un personaggio per buona parte del libro, solo verso la fine si ottenga un quadro esatto di cosa rappresenti; che magari stravolge completamente il modo in cui il lettore lo aveva inteso.
Questa disposizione, forse poco elegante, risulta comunque di grande effetto.
«[...] A questa compagine di persone "comuni" e "ordinarie", appartengono anche alcuni personaggi della nostra storia che fino ad ora, lo riconosco, non sono stati chiariti bene al lettore.[...]
Il fatto è che l'uomo comune intelligente, anche se qualche volta di sfuggita ha immaginato di essere uomo geniale e originalissimo (anche per tutta la sua vita), ciò nonostante conserva nel suo cuore il tarlo del dubbio che lo conduce alla più totale disperazione. Anche se si rassegna, è completamente avvelenato interiormente della vanità frustrata.[...] Tuttavia prima di arrendersi e rassegnarsi, queste persone a volte ne combinano delle belle per moltissimo tempo, dalla giovinezza all'età della rassegnazione, e tutto a causa del desiderio di originalità[...]
Gavrila Ardalionoviè aveva imboccato proprio quella strada ma non aveva fatto che pochi passi. Ne aveva ancora molte da combinare. La sensazione profonda e incessante della propria mancanza di talento e, contemporaneamente, l'insormontabile desiderio di convincersi di essere un uomo indipendente al massimo grado avevano intensamente intaccato il suo cuore, sin quasi dall'adolescenza. Egli considerava l'irruenza dei desideri come la propria forza. Per la sua smania di distinguersi sarebbe stato disposto anche al salto mortale più spericolato, ma quando si arrivava a quel punto, il nostro eroe si rivelava sempre troppo intelligente per risolvervi a saltare. Questo lo uccideva.»
Il paragrafo prosegue scavando sempre più nelle profondità del personaggio fino a metterlo a nudo. Quasi si percepisce la vergogna del soggetto per essere stato così profondamente indagato.
Da notare inoltre il procedimento che va dal generale allo specifico, che tuttavia non è sempre presente nelle descrizioni; perché, come già detto, la narrazione varia, le tecniche cambiano continuamente pur senza mai lasciarsi andare in virtuosismi narrativi.
A questo punto allora parliamo del protagonista, dell'"idiota": la figura più importante del romanzo. A lui, ma anche agli altri personaggi, si deve il valore dell'opera. L'intreccio, infatti, non è molto diverso da quello dei romanzi dell'epoca: screzi, intrighi e scandali si susseguono senza sosta. Nulla di speciale in fondo, ma i personaggi che Dostoevskij muove su questa coreografia, lo sono eccome.
2. L'idiota, analisi del personaggio
Il protagonista che dà il nome al romanzo in realtà si chiama Lev Nikolajevic Myškin, e le sue lontane parentele gli conferiscono l'appellativo di principe. Il principe Myškin, quindi, è un ventisettenne russo che ritorna in patria dopo aver passato molti anni in Svizzera, ricoverato in una clinica per problemi legati all'epilessia.
Questo è uno degli elementi che porteranno tutti quanti a pensare al ragazzo in quanto "Idiota", ma non il solo. È importante precisare che il termine idiota, in questo romanzo, indica plurime connotazioni, il fatto che il principe soffra di epilessia è solo una di queste, nonché la più superficiale.
La vera ragione per cui Myškin appare un "idiota" fin dal primo momento in cui lo si sente parlare, è la sua smodata ingenuità.
«Una caratteristica peculiare del principe era la straordinaria ingenuità con la quale ascoltava tutto ciò che lo interessava e rispondeva a qualunque domanda gli ponessero a riguardo. Il suo viso, persino la sua postura in qualche modo riflettevano questa ingenuità. questa fiducia per le quali mai sospettava l'intenzione altrui di beffarlo, né coglieva le sfumature di humour.»
Il principe dunque non è in grado di cogliere le sfumature di humour. Questo piccolo dettaglio rivela molte cose: ci sta dicendo che il principe è inabile a qualsiasi genere di malizia, anche alla più innocua, indispensabile per capire qualche battuta di spirito. Tuttavia, questa deficienza lo rende nondimeno immune a qualsiasi cattiveria.
Il principe non lo fa apposta, non finge di essere buono e ingenuo, non si sforza minimamente. Lo è e basta, contro ogni influenza, contro ogni circonstanza.
Caso vuole, che le circostante e le influenze che ben presto circondano il principe siano le peggiori che potessero capitargli. Una marmaglia di crudeli, rozzi, approfittatori, truffatori e doppiogiochisti verranno presto attratti da questa stella candida e inizieranno a orbitargli intorno.
Nonostante la compagnia di amici, il principe rimane incorruttibile e non demorde mai nel vedere in tutti qualcosa di buono, qualcosa di umano; mai, neppure di fronte all'evidenza.
Ecco perché è un idiota.
La completa estraneità ai sotterfugi mondani lo rendono spesso una presenza imbarazzante. Il principe è un bambino, e come tale non sa quando è bene parlare e quando tacere. Forse per questo si dice che i bambini siano la voce della verità. Il principe è senza dubbio quella voce. Ma le persone che lo circondano hanno paura della verità, la temono; temono il principe perché lui sa, lui vede in loro.
E loro, spaventati, cosa possono fare? Ovviamente, cercano di esorcizzare le proprie brutture nel principe stesso, rendendolo colpevole, rendendolo uno di loro.
Ecco lo sfogo di un personaggio:
«E quanto a voi [riferito al principe], trovo che tutto ciò sia molto cattivo, perché è molto scorretto esaminare e giudicare così l'anima di un uomo, come voi fate[...] Non avete pietà: vi interessa la cruda verità, siete dunque ingiusto.»
Il principe attrae e spaventa; entrambe le cose per lo stesso motivo, la sua bontà.
Bisogna dire che lo sfogo non è del tutto ingiustificato. In effetti, la bontà del principe, paradossalmente, genera una lunga sequenza di sofferenze in chi lo circonda, soprattutto in chi più ama.
È come se la purezza del suo animo danneggiasse tutti coloro con i quali entra in contatto, inquinando ancor di più quei sentimenti di cui sono già saturi: l' invidia, l'odio; c'è chi, sapendo di non poter mai uguagliare il principe, arriva a compiacersi della propria bassezza morale esagerandola oltre ogni limite.
Come a dire, se non posso essere Dio, allora sarò il Diavolo.
È una cosa straordinaria, quella che ci rivela a conti fatti il romanzo di Dostoevskij.
Cioè che la bontà pura, anziché illuminare l'animo umano, genera ancora più cattiveria. Genera quell'odio che si manifesta quando si entra in contatto con qualcosa di totalmente estraneo a sé; e forse non c'è nulla di più estraneo all'essere umano, che la purezza incontaminata dello spirito.
Se pensiamo che il principe Myškin è stato creato, per ammissione dell'autore, ricalcando la figura di Cristo, queste conclusioni lasciano ulteriori spunti di riflessione.
«Adesso, adesso tacete; non dite niente; restate fermo, voglio guardarvi negli occhi. Prendo congedo dall'Uomo»
- Parole rivolte al principe, da un uomo in procinto a suicidarsi.
Hai trovato l'articolo interessante?
Segui La Sequenza Narrativa su Facebook
Commenti
Posta un commento